9 giorni di trekking sul Circuito dell’Annapurna
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Il Circuito dell’Annapurna è notoriamente conosciuto come uno dei trekking più lunghi e più belli al mondo. Venne aperto nel 1977 da escursionisti stranieri, percorrendo i sentieri usati abitualmente dai locali che vivevano in quelle zone, fino a raggiungere il passo Thorong La, a quota 5416 m. Inizialmente aveva una durata media di 320 km, che potevano essere percorsi in circa tre settimane.
Io e Davide al Thorong La Pass.
Oggi in genere la lunghezza del trekking si riduce, perchè negli anni si stanno costruendo strade che permettono di raggiungere zone un tempo accessibili soltanto a piedi. Per questo motivo non ha più molto senso camminare là dove oggi c’è traffico di fuoristrada, soprattutto per via della polvere che si dovrebbe respirare.
E così, un pò per queste ragioni, un pò per esigenze di tempo, anche io e Davide abbiamo tagliato alcuni tratti. Noi abbiamo percorso il Circuito in senso antiorario (modalità consigliata) camminando da Chamje fino a Muktinath, per un totale di 9 giorni e circa 100-120 km.
Ecco la descrizione del nostro trekking, giorno per giorno
Giorno 0 – Da Kathmandu (1400 m) a Chamje (1430 m)
Dopo aver trascorso una giornata in Kathmandu, spesa sia per riposarci dal viaggio aereo, sia per acquistare nel quartiere Thamel le ultime cose in preparazione al trekking e per ottenere i vari permessi per l’area dell’Annapurna, finalmente siamo pronti per la nostra grande avventura. Partiamo al mattino presto verso le sei con un minibus e percorriamo 180 km in circa sei ore per arrivare a Besisahar, paesino in cui si interrompe il tratto asfaltato. La strada che conduce qui è molto trafficata, un continuo sali scendi e nella parte finale è addirittura ad un’unica corsia. In pratica si rischia la morte ad ogni curva, ma io me ne infischio e mi addormento :-). Giunti a destinazione Davide mi sveglia, scendiamo dal minibus e facciamo pranzo con noodles e omelettes … si sta bene, c’è una bella temperatura, a pelle potrebbero esserci sui 20 gradi.
Da Besishar è possibile proseguire a piedi, oppure salire ancora un pò in fuoristrada procedendo su strada sterrata. Questa strada arriva oggi fino a Manang, ma non avrebbe alcun senso farsi portare fin lì, sia per questioni di acclimatamento, sia perchè verrebbe meno il senso del trekking. In ogni caso attualmente il primo tratto è un pò trafficato e polveroso, inoltre sono in corso i lavori di costruzione di una grossa diga, per cui decidiamo di saltarlo e di raggiungere Chamje con un mezzo.
Pare siano 40 km da percorrere in 4 ore sul pendio di una vallata piuttosto stretta (a piedi ci vorrebbero due giorni). Quello che non ci aspettiamo è che il rischio di morire ogni cinque minuti non è ancora finito, la strada infatti è un disastro, procediamo quasi a passo d’uomo su un fondo sconnesso al massimo, pieno di buche e sassi, fiancheggiando continuamente dirupi molto scoscesi. Sono quattro ore tesissime, in cui speriamo ad ogni metro di non precipitare nel fondovalle, confidando nella bravura del driver e nel funzionamento della jeep. Arriviamo a Chamje verso le 5 di sera sani e salvi ma distrutti, non abbiamo nemmeno le forze per farci una doccia. Ceniamo e subito a nanna nei nostri rispettivi sacchi a pelo.
Cascata, sul tratto da Besisahar a Chamje.
Giorno 1 – Da Chamje (1430 m) a Dharapani (1860 m) – Dislivello complessivo 430 m.
Oggi finalmente si cammina, e come sarà tutti gli altri giorni tranne quello del passo, partiamo verso le 8 del mattino. Dopo circa un’ora di salita secca ci fermiamo entrambi, ci guardiamo e pensiamo la stessa cosa: “Abbiamo fatto una gran cavolata, non ce la faremo mai! Perchè siamo qui???”. Fa caldo e la sensazione è che schiatteremo presto di fatica e non arriveremo mai alla fine. E invece teniamo duro. Dopo circa tre ore la salita si interrompe e arriviamo a Tal, un tranquillo paesino che fiancheggia il fiume Marsyangdi Nadi, le cui acque sono di un azzurro splendido.
Fiume Marsyangdi Nadi nei pressi di Tal. Sulla destra il sentiero, sulla sinistra la strada che porta a Manang.
Davide ed una mandria di bellissime mucche nere.
Bimbe nepalesi.
A Tal c’è il primo “Safe Water Drinking Station“, punto in cui si può riempire la propria borraccia con acqua potabile per poche rupie. Questo sistema è stato adottato per evitare l’utilizzo di bottiglie di plastica sull’area. Da Tal in poi il percorso continua a salire ma in modo meno secco, con vari sali e scendi. Attraversiamo anche il nostro primo ponte sospeso, che meraviglia! Arriviamo a Dharapani in cinque ore e mezza, facendo numerose piccole soste.
Safe Water Drinking Station, a Tal.
Giorno 2 – Da Dharapani (1860 m) a Chame (2670 m) – Dislivello complessivo 810 m.
Questa giornata si rivela eterna, lunghissima, dura, si fa sentire tutto l’allenamento che ci manca. In due ore arriviamo a Danaque (Danakyu sulla cartina), percorrendo la strada carraia. Fa freschetto perchè siamo in ombra e la quota inizia ad essere più alta, ma la passeggiata fin qui è tranquilla, la parte dura deve ancora venire.
La stretta vallata del Marsyangdi Nadi
Mani Wall a Danaque
La vista appena sopra Danaque. Siamo pronti (si fa per dire!) per una ripida salita di due ore.
Appena passato Danaque prendiamo un sentiero sulla sinistra. Dopo due ore e mezza su un’estenuante e ripida salita, percorsa scalino dopo scalino, giungiamo prima in una bellissima foresta, per poi sbucare nuovamente sulla strada. Finalmente vediamo i lodge di Temang (2750 m). Da qui in poi camminiamo sulla strada, che lentamente sale, poi scende, poi sale di nuovo… e così per un altro paio d’ore fino a Thanchouk, dove per fortuna passa un camion e ci da un passaggio fino a Chame. Saliamo sul cassone, ci sediamo su enormi bobine di cavo metallico e ci godiamo il paesaggio. Anche oggi, incredibilmente, abbiamo mantenuto il nostro programma ed anche oggi non vediamo l’ora di mangiare qualcosa per poi andare a dormire. Nel lodge di Chame l’acqua per la doccia è troppo fredda, così la saltiamo.
Nella foresta di Temang.
Davide e uno dei dolci amici pelosetti che abbiamo incontrato durante il percorso.
Giorno 3 – Da Chame (2670 m) a Upper Pisang (3300 m) – Dislivello complessivo 630 m.
Finalmente questo giorno di trekking non ha continui sali scendi e salite estreme. Si prosegue sulla strada sterrata ed è possibile in alcuni punti scegliere sentieri alternativi in boschi di pini, cosa che consiglio, perchè si cammina molto meglio, senza respirare polvere. Ad un certo punto sul percorso si incontra un paesino chiamato Bhratang, che più che un paese è una distesa di piantagioni di mele appartenenti ad un unico proprietario. La cosa curiosa è che questa è la più grossa piantagione di tutto il Nepal e la coltivazione è iniziata nel 2015 con l’importazione di 60 mila piantine giunte direttamente dall’Italia. Proseguiamo… c’è profumo di pini, l’atmosfera è familiare, sembra di essere sulle Alpi, ma le montagne sono molto più imponenti.
Finalmente arriviamo al “Gateway to Heaven“, punto in cui la vallata gira improvvisamente a sinistra. Lo spettacolo è impressionante, di fronte a noi si staglia un’immensa parete di roccia che scende verso il basso come un enorme scivolo. Secondo la leggenda questo sarebbe il luogo di passaggio delle anime verso paradiso, motivo per cui molti nepalesi bruciano qui il corpo dei loro familiari, come un segno di buon auspicio. Superato il ponte sospeso si lascia la strada per proseguire su un sentiero nella pineta. Dopo circa un’ora si raggiunge il paese di Dhukur Pokhari, molto carino.
Gateway to Heaven.
A questo punto le alternative possono essere due: andare a dormire a Lower Pisang, per poi raggiungere Manang camminando sempre sul fondovalle, oppure salire a Upper Pisang e camminare a quote più alte, intorno ai 3600 metri, per poi ridiscendere a Manang soltanto più avanti. Noi scegliamo la seconda opzione, primo perchè garantisce un migliore acclimatamento per i giorni successivi, secondo perchè la vista è senza dubbio migliore.
Dopo Dhukur Pokhari la vallata improvvisamente si apre. Camminiamo inizialmente su un tratto quasi in piano, per poi risalire fino ad Upper Pisang, che raggiungiamo in circa un’ora. Appena sistemati nel nostro lodge io inizio a star male, ma vi risparmi i particolari! 😀
Upper Pisang.
Giorno 4 – Da Upper Pisang (3300 m) a Ngawal (3660 m)
Nella notte inizia a soffiare un vento fortissimo, ma per fortuna al mattino presto cessa del tutto e ci attende una splendida giornata con un cielo limpidissimo. Appena partiti fa fresco, ci incamminiamo ben coperti, ma passati dieci minuti dobbiamo fermarci per togliere giacca e guanti. Dopo un’ora di cammino da Upper Pisang, ci troviamo di fronte una salita molto ripida e sfiancante che porta al villaggio di Ghyaru (3670 m). Da qui il sentiero prosegue più o meno in piano fino a Ngawal, ma la giornata si rivela calda, anche troppo calda, tant’è che io inizio a patire il sole che picchia violento in testa e cerco riparo nell’ombra di ogni cespuglio che trovo sul sentiero.
Vista della vallata che ci lasciamo alle spalle. Nella foto è ben visibile il sentiero, che dopo il piano si inerpica sul pendio. Si intravede anche il tratto a zig zag che conduce a Ghyaru, situato 300 metri più in alto.
Davide in contemplazione della vallata che porta a Manang. Nel fondovalle il piccolo aeroporto di Humde.
Giorno 5 – Da Ngawal (3360 m) a Manang (3540 m)
Finalmente una giornata più leggera… Ci alziamo con molta calma e partiamo verso le 9 e mezza diretti verso Manang. Invece di scendere a Braka con la nuova strada sterrata proseguiamo in quota sul sentiero fino al monastero di Lophelling e da qui scendiamo poi nel fondovalle. Superiamo i villaggi di Munchi e Braka e verso le 13.30 siamo a Manang. Qui ci aspetta una meravigliosa doccia calda, brioche spettacolari ed una pizza niente male, considerando che siamo in Nepal ad una quota di 3500 e rotti!
Vista di Manang, sullo sfondo a sinistra il ghiacciaio e il lago Gangaapurna.
Davide e uno yak, nei vicoli di Manang.
Le brioche più buone mai mangiate!!
Giorno 6 – Manang
A Manang ci fermiamo due notti, il minimo per favorire l’acclimatamento. In questa giornata è consigliato salire a quote più alte, per poi riscendere. Da Manang è possibile fare diverse escursioni in giornata, più o meno lunghe, ad esempio si possono raggiungere la grotta di Milarepa (4000 m), l’Ice Lake (4600 m) o il Praken gompa (3945 m). Noi optiamo per quest’ultima meta, la più vicina. Si tratta di un minuscolo monastero ora disabitato, situato proprio sopra Manang. Da qui la vista sulla valle è spettacolare.
Giorno 7 – Da Manang (3540 m) a Ledar (4200 m)
Da Manang imbocchiamo la vallata a destra, il sentiero sale in modo costante fino a Gunsang (3950 m), per poi proseguire praticamente in piano fino a Yak Kharka, che raggiungiamo dopo circa quattro ore e mezza. Da Yak Kharka a Ledar ci vuole ancora un’oretta di cammino. Intanto la vallata si apre, l’aria è frizzante. Da Manang in poi non c’è più una strada ma soltanto un sentiero e l’unico modo per portare viveri e materiali ai lodge che si trovano lungo il trekking sono i cavalli.
Cavalli carichi di materiale, nel tratto a monte di Manang.
Finalmente a Ledar. Sullo sfondo il nostro Lodge.
Giorno 8 – Da Ledar (4200 m) a Thorung High Camp (4925 m)
Da Ledar al Thorung Phedi Base Camp (4540 m) il sentiero prosegue con una salita lenta e costante, non particolarmente impegnativa. L’assenza di ossigeno inizia però a farsi sentire, Davide è un fumatore per cui accusa come una mancanza d’aria, ed entrambi ci sentiamo sempre più affaticati. Al Base Camp io inizio ad avvertire un leggero mal di testa. Facciamo una sosta di un’oretta qui, poi decidiamo di proseguire. Dal Base Camp all’High Camp io trovo eterno… il tratto non è lungo, tutt’altro, ma è ripido ed ogni passo mi costa molta fatica.
Arriviamo all’High Camp e appena cala il sole inizia a fare proprio freddo. Il mio mal di testa si fa più forte, con un antidolorifico sembra passare un pò, in ogni caso mi sento del tutto fuori forma. Ma ho Davide, il mio angelo, che mi coccola prendendo coperte in più, borse dell’acqua calda, cioccolato… ogni cosa che può farmi stare un po meglio.
Vista di Thorong High Camp (4925 m) e del sentiero che porta al passo.
Giorno 9 – Da Thorung High Camp (4925 m) a Muktinath (3760 m) passando per Thorung La Pass (5416 m)
La notte all’High Camp non è stata facile soprattutto per Davide. Ogni volta che stava per addormentarsi, si risvegliava di colpo, perchè aveva la sensazione di non riuscire a respirare. Le ore della notte passano, la sveglia suona verso le 5 e alle sei ricominciamo a camminare, con la frontale accesa sulla testa. Intanto passo dopo passo inizia ad albeggiare. Il paesaggio è stranissimo, sembra di camminare sulla luna. La fatica aumenta metro dopo metro e ogni pochi passi dobbiamo fermarci. Io vorrei quasi tornare indietro, lo so è assurdo… arrivare quasi in cima e cedere… ma il mio mal di testa è tornato e sembra sempre più forte. Ma ho Davide… lui mi incoraggia e alla fine ce la facciamo. Verso le nove arriviamo al passo, a 5416 metri, e io scoppio a piangere! E’ un emozione essere lì ed esserci con lui.
Paesaggio lunare… dall’High Camp al passo Thorong La.
Dopo qualche foto, iniziamo a percorrere la discesa verso Muktinath. E oserei dire che la discesa si dimostra forse più impegnativa della salita. E’ ripida, stancante e sembra non finire mai. In più abbiamo finito l’acqua, il sole batte forte e non esiste un solo cespuglio sotto cui poter trovar riparo. Attenzione che fino alla fine della discesa non si incontra nè una fontana, nè un piccolo bar ed è facile rimanere senza acqua! Questo non è successo solo a noi, ma alla maggior parte dei trekker che abbiamo incontrato quel giorno. Di conseguenza si arriva giù stremati. Il primo villaggio che si incontra dopo 3-4 ore di discesa credo si chiami Chambar Bhu. Qui ci siamo riposati un’oretta e rifocillati con gustose noodle soup. Quindi abbiamo proseguito raggiungendo la cittadina di Muktinath dopo un’altra ora di cammino.
Tratto in discesa, dal passo Thorong La a Muktinath.
Giorno 10 – Da Muktinath in poi…
Da Muktinath c’è chi procede ancora a piedi, chi prende un mezzo per poi proseguire a piedi più avanti, da Tatopani alla Vetta di Poon Hill, chi arriva fino a Jomson per poi salire su un piccolo aereo che porta direttamente a Kathmandu… Noi abbiamo deciso che a Muktinath il nostro trekking era concluso. Abbiamo cercato un mezzo che ci conducesse a Pokhara e dopo ore di attesa in un’improbabile stazione di bus, abbiamo trovato un passaggio in fuoristrada prima fino a Marpha, dove abbiamo dormito una notte, e poi da Marpha a Pokhara. Scendendo si attraversa la valle del fiume Kali Gandaki. Siamo nella regione del basso Mustang, qui il paesaggio è totalmente diverso, è aspro, polveroso, ed ha un fascino incredibile. Il letto del fiume si estende su tutto il fondovalle e spesso dobbiamo cercare una via di accesso tra un’ansa e l’altra, perchè non esiste una vera e propria strada.
Io e Davide soddisfatti e felici. Qui siamo nel basso Mustang, nel letto del fiume Kali Gandaki.
La nostra avventura sul Circuito nell’Annapurna è conclusa. E’ stata un’esperienza unica, indimenticabile, che consiglio a chiunque voglia mettersi in gioco (purchè in buona salute e con un fisico adeguato). La soddisfazione al termine è altissima e la si porta con sè nel cuore per sempre, sono sicura. Questo trekking sarà sicuramente uno stimolo per raggiungere altre mete e altri obiettivi… non sempre è facile, ma passo dopo passo, ce la si può fare. 🙂
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